«Ora sei con Dio e sempre nel nostro cuore. Noi ora siamo nella ”monnezza”». È la conclusione di un necrologio collettivo che appare oggi sul Mattino, nel ricordo struggente di una signora scomparsa da tre anni. Una donna capace di «superare in vita prove difficili» è salutata così con quella che a prima vista appare come una denuncia civile degli amari giorni napoletani (a memoria, non era mai accaduto finora che la tragedia dei rifiuti venisse evocata finanche in un necrologio). O forse la parola esprime solo un senso di sollievo, un’amara consolazione, perché a un animo sensibile è stata almeno risparmiata questa sofferenza. O magari è una frase colloquiale gettata lì, per esprimere l’intensità di una pena. Di più, nel rispetto di un dolore sempre vivo, non è lecito dire. A parere degli umoristi cinici lo spazio dei necrologi è rimasta l’isola di maggiore libertà dei giornali. Le forme espressive del dolore da tempo affascinano i letterati. In «Sostiene Pereira», il bel libro di Antonio Tabucchi da cui è stato ricavato un film, il giornalista è ossessionato dalle righe del lutto e dai «coccodrilli», le biografie commosse stilate in anticipo - e aggiornate - nelle redazioni per i personaggi importanti di una certa età. Resta memorabile il necrologio di Giuseppe Prezzolini per Leo Longanesi: «La sua morte fu una perdita irreparabile per noi, un gran sollievo per i birbanti, gli sciocchi e gli accomodanti». Più semplicemente, per chi può permettersi la spesa, quelle righe fra due segni neri sono la misura di quanto il «caro estinto» ha seminato in vita. La signora salutata oggi sul Mattino ha di certo lasciato un’intensa scia di affetto, se in sua memoria - nel contrasto tra il rimpianto e la crudezza della situazione - perfino quella parola ha l’essenza di un fiore.
Pietro Gargano sul MATTINO
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